Come finanza e politica hanno distrutto la Creatività.

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Prima di entrare nel merito di questo articolo, voglio chiarire una cosa: non mi occupo né di politica né di finanza (me ne guardo bene…), ma quello che sto per trattare riguarda profondamente la creatività, un tema che mi sta molto a cuore. La creatività italiana, che sia quella del piccolo artigiano o, come nel mio caso, quella di un graphic designer, è stata per decenni il fiore all’occhiello del nostro paese. Ha fatto dell’Italia un punto di riferimento globale per l’innovazione e la qualità, ma oggi sembra essere soffocata da dinamiche economiche e politiche che appiattiscono il mercato e annientano la differenziazione.

Negli ultimi decenni, la finanza speculativa ha travolto ogni settore produttivo, distruggendo l’innovazione e appiattendo l’offerta di beni e servizi. Al tempo stesso, la politica, anziché cercare di bilanciare gli interessi economici con quelli sociali e creativi, ha seguito la finanza con servile ossequiosità. Il risultato? Un mercato uniforme, privo di personalità e innovazione, dove le necessità reali dell’utilizzatore finale sono state completamente dimenticate.

Il ruolo della finanza: dal profitto alla speculazione

Ogni azienda, grande o piccola che sia, ha bisogno di profitto per sopravvivere. Questo è naturale, ed è sempre stato un principio cardine del sistema economico. Tuttavia, c’è una differenza sostanziale tra un’azienda che persegue il profitto attraverso il miglioramento del prodotto o servizio e una che cerca soltanto rendimenti finanziari a breve termine, sacrificando la qualità e l’identità del prodotto stesso.

Con l’espansione della finanza speculativa, l’attenzione si è spostata dal prodotto verso il semplice accumulo di capitale. Le decisioni aziendali non sono più guidate da un autentico interesse nel migliorare la vita dell’utilizzatore finale, ma dalla necessità di massimizzare i profitti a scapito della qualità e della diversificazione. Questo approccio ha portato all’appiattimento di interi settori, dalla moda alla tecnologia, passando per il mondo automotive.

Il caso del settore automotive: auto senza anima

Un esempio emblematico di questo fenomeno è il settore automotive. Oggi, guardando il mercato delle auto, vediamo prodotti quasi indistinguibili l’uno dall’altro. Tutti i veicoli sembrano omologati in termini di design e funzionalità, e sono diventati sempre più costosi. Il risultato? Le vendite sono crollate.

L’industria ha progressivamente abbandonato il concetto di auto come espressione della personalità e dello stile di vita dell’acquirente, preferendo puntare su modelli standardizzati per abbattere i costi e aumentare i margini di profitto. La creatività nel design, un tempo l’elemento distintivo di marchi e modelli, è stata appiattita dal desiderio di compiacere esclusivamente gli investitori e i mercati finanziari.

L’automobile, un tempo simbolo di libertà, espressione di carattere e individualità, è ora ridotta a un bene di consumo standard, dove l’unica variabile rimasta sembra essere il prezzo. E non è un caso che i consumatori si siano disinteressati, facendo crollare le vendite.

La creatività, un tempo motore dell’industria italiana, oggi è soffocata dalle logiche speculative della finanza e dall’inerzia della politica. In un mercato sempre più uniforme, l’utilizzatore finale e l’innovazione sono stati relegati a un ruolo marginale, mentre l’unico vero protagonista è diventato il profitto a breve termine.

La politica: complice o vittima?

In tutto questo, la politica ha giocato un ruolo ambiguo. Invece di contrastare il potere crescente della finanza, regolamentando e creando politiche che favorissero la diversificazione, l’innovazione e la creatività, ha scelto di essere complice di questo sistema. Le normative troppo spesso agevolano le grandi multinazionali, mentre le piccole e medie imprese, che rappresentano il cuore pulsante della creatività e dell’innovazione, vengono strangolate dalla burocrazia e dalla mancanza di supporto.

Si parla spesso di “libero mercato”, ma la realtà è che si tratta di un mercato privo di libertà creativa, schiavo delle stesse forze finanziarie che regolano il flusso di capitali, e incapace di evolversi in modo autentico e rispondere ai veri bisogni della società.

Il paradosso: il pubblico ignorato

Un altro paradosso di questo sistema è che l’utilizzatore finale, il vero attore del mercato, non è più al centro delle dinamiche produttive. Le esigenze dei consumatori vengono ignorate, sostituite da strategie di marketing che puntano più a manipolare la domanda che a soddisfarla.

Nel settore automotive, così come in molti altri, il pubblico si ritrova a scegliere tra prodotti sempre più simili e meno innovativi, il cui unico fattore distintivo è il prezzo o il brand. La creatività, che un tempo rappresentava un punto di forza per l’industria europea, è stata sostituita dalla monotonia imposta da un mercato governato esclusivamente dalle logiche speculative.

La creatività sacrificata all’altare del profitto

In questo contesto, la creatività è diventata la prima vittima. In settori come il design, l’arte, l’architettura, e persino nella tecnologia, la libertà di sperimentare e innovare è stata sacrificata per garantire il ritorno sugli investimenti. Le aziende investono sempre meno in ricerca e sviluppo, considerandolo un costo anziché un’opportunità. I team creativi vengono limitati da budget rigidamente controllati da manager finanziari, e la loro libertà di pensiero viene vincolata da obiettivi esclusivamente economici.

La vera innovazione richiede tempo, risorse e, soprattutto, una cultura aziendale che valorizzi il rischio e l’esplorazione di nuove idee. Oggi, queste caratteristiche sono praticamente scomparse dalle agende dei grandi gruppi industriali, che preferiscono evitare rischi e puntare su ciò che è “sicuro”, ma banale.

Conclusione: è possibile recuperare la creatività?

La domanda che ci si pone, alla luce di tutto questo, è se sia possibile recuperare la creatività e riportare il prodotto al centro del processo produttivo. La risposta non è semplice, ma una cosa è chiara: finché la finanza e la politica continueranno a governare ogni aspetto della produzione, l’innovazione e la creatività saranno sempre più soffocate.

Un cambio di paradigma è necessario, sia a livello economico che politico. Le aziende devono tornare a investire nel loro prodotto e nel loro pubblico, piuttosto che concentrarsi esclusivamente su rendimenti immediati. La politica, dal canto suo, dovrebbe promuovere un ambiente che favorisca la creatività, attraverso incentivi per la ricerca e lo sviluppo, e supportando le piccole imprese, che rappresentano la vera linfa vitale dell’innovazione.

Solo così potremo tornare a un mercato che rispetti la diversità e la creatività, dando vita a prodotti che siano non solo redditizi, ma anche significativi e capaci di lasciare un segno nella società.